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Chiesa Madre, Campanile e Torricella

La Chiesa Arcipretale di Santa Maria Assunta è la “Chiesa Madre” della Comunità lionese, “Omnium civitatis ecclesiarum mater et caput“ (di tutte la chiese della città madre e capo), come recita un antico adagio. L’unico manufatto dell’epoca della fondazione del paese che sia arrivato fino a noi è il Campanile della Chiesa; solo la cella campanaria  è stata  ricostruita, e probabilmente  modificata, verso la metà del Settecento.

Costituisce, dal punto di vista cronologico, il primo edificio di culto del paese, in quanto le sue origini risalgono al XIV secolo. Il primitivo edificio sacro faceva corpo unico con il vicino campanile, come è possibile osservare dalle tracce ancor oggi conservate sulla muratura del prospetto nord dello stesso, che permettono di riconoscere il segno della falda di un tetto. Di questo edificio sacro si conserva la statua quattrocentesca in marmo di San Giovanni Battista, conosciuta dal popolo come San Giovanni de preta”.Nel 1580, così come riportato da una lapide infissa nella parete esterna della Cappella del Santissimo Sacramento, una nuova chiesa “…ab Universitate Terrae Leonum funditus erectum”, fu eretta dalle fondamenta dalla Comunità Civile di Lioni.

Questo edificio cinquecentesco, nonostante le numerose traversie a cui è stato sottoposto nei secoli successivi, soprattutto a causa di diversi terremoti, ha sempre conservato l’impianto originale che ancor oggi lo caratterizza: la pianta a croce latina con tre navate, il transetto e un ampio presbiterio, al lato destro del quale si trova la Cappella del Santissimo Sacramento, mentre su quello sinistro vi è la Sacrestia, cui si accede attraverso un pregevole portale in pietra di stile barocco, che incornicia una bellissima porta in legno di noce della stessa epoca. All’interno di questo ambiente si conservano: un antico altare in pietra locale, recante incisi nei due pannelli ai lati del paliotto lo stemma di Lioni, l’antica statua lignea della Madonna del Carmine e, nei grandi armadi in noce, preziose suppellettili liturgiche.  

La Chiesa, danneggiata gravemente, come accennato, soprattutto dai terremoti dell’8 settembre 1694 e del 29 novembre 1732, fu quasi interamente distrutta dal sisma del 23 novembre 1980. L’edificio sacro attuale, ricostruito secondo la volumetria originaria e mettendo in evidenza le parti antiche scampate alla furia del terremoto, fu completato e riaperto al culto il 13 agosto 2001, ventuno anni dopo il tragico crollo.

All’interno, oltre alle suddette parti originali in muratura ancora impreziosite da un ricco apparato di stucchi settecenteschi, conserva diverse opere d’arte, a memoria del suo glorioso passato.

Degni di nota sono: i due altari settecenteschi del Santissimo Sacramento e dell’Immacolata ( già altare maggiore fino al 1980); la seicentesca statua lignea di san Guglielmo, proveniente dall’abbazia del Goleto e qui trasportata dopo la soppressione napoleonica del monastero, avvenuta nel 1807, con il relativo altare marmoreo, il cui pezzo più pregevole è il paliotto in marmi commessi dell’attuale altare per la celebrazione; le statue lignee dell’Immacolata e di San Michele, opere settecentesche dello scultore locale Pietro Nittoli; i quadri delle Stazioni della Via Crucis, costituiti da quattordici dipinti ad olio su lamiera, del XIX secolo, di fattura popolare, quasi naif, ma molto espressivi e capaci di trasmettere un forte pathos religioso; la tela, collocata nell’abside, dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, copia di un pittore locale tardo settecentesca del dipinto originale di Guido Reni, conservato all’ Alte Pinakothek di Monaco di Baviera; il sontuoso capocielo, o baldacchino, ottocentesco in legno intagliato e dorato, di fattura veneta, che sovrasta l’altare principale della celebrazione.

Una nota a parte meritano il portale lapideo d’ingresso, risalente al 1743, la vasca del fonte battesimale del 1765, in pietra locale intarsiata, e il seicentesco bassorilievo in marmo con il volto di un cherubino, collocato nella prima cappella della navata destra, ad incorniciare la tela del Servo di Dio Notar Vincenzo Ronca; queste opere, all’indomani del terremoto dell’ottanta, unitamente ai resti mortali del servo di Dio, finirono disperse in una discarica, a causa della radicale e affrettata rimozione della macerie della Chiesa ad opera dei militari tedeschi, inviati in aiuto della popolazione lionese.

Recuperate provvidenzialmente quando sull’area della discarica si scavarono le fondamenta dell’attuale Palazzetto dello Sport, danno oggi lustro al sacro edificio. Infine un’opera d’arte di grande interesse, custodita in questo tempio, è il bassorilievo in marmo raffigurante S. Michele Arcangelo, che si trova in controfacciata, a destra dell’ingresso. E’ un’opera del grande scultore cinquecentesco Giovanni da Nola, che la eseguì nel 1528 proprio per questa Chiesa su commissione del lionese Domenico Caranese. Il volto deturpato dell’Arcangelo resta a imperitura memoria della tragedia del terremoto del 1980, che ha certamente sfigurato la Comunità lionese, ma non è riuscito a cancellarne la bellezza!

IL CAMPANILE

L’ unico manufatto dell’epoca della fondazione del paese che sia arrivato fino a noi è il Campanile della Chiesa Madre; solo la cella campanaria  è stata  ricostruita, e probabilmente  modificata,  verso la metà del Settecento.

Questo edificio ci trasmette una serie di informazioni assai interessanti.  Sul prospetto  nord si vedono chiaramente i resti di un muro tagliato e, tra i cinque e i sei metri di altezza, il segno della falda di un tetto inclinata verso via Diaz. Sulla  stessa parete si interrompe la continuità dello zoccolo che avvolge la base della torre.  Ciò vuol dire che originariamente il campanile non era isolato, ma faceva corpo con la chiesa.  Questa aveva un orientamento  nord–sud, con la facciata rivolta verso la montagna.  Il campanile era costruito in aderenza  alla facciata, a sinistra del portale, e vi si accedeva  non dalla strada, come oggi, ma dall’ interno della chiesa  La cosa  aveva una sua logica.  La torre non era stata progettata solo per accogliere le campane, ma anche per servire, all’ occorrenza, come opera di difesa  (lo conferma la presenza delle feritoie nei muri). Infatti, quando non c’ era un castello a proteggere il villaggio, in caso di attacco le donne e i bambini si radunavano in chiesa, confidando nella sacralità del luogo e nella solidità dell’ edificio . La torre campanaria di Lioni era collocata precisamente a difesa della porta della chiesa.

La struttura del campanile lionese imita quella del  donjon, la caratteristica  torre  di  difesa  introdotta in Italia dai Normanni. Il  donjon  costituiva l’ ultima  ridotta  di un sistema difensivo  nel caso in cui gli attaccanti fossero riusciti a superare le barriere esterne.  Consisteva in  un robusto  edificio a pianta circolare o  quadrata, sviluppato su tre o quattro livelli.  Nelle fondazioni era ricavata una cisterna, che veniva alimentata con acqua piovana. Il pianoterra, privo di aperture verso l’ esterno, era adibito a magazzino per le  provviste e per le armi. I piani superiori  –  ai quali si accedeva mediante un ponte levatoio  o una scala in legno che poteva essere ritirata dall’ alto  –  erano  attrezzati  in modo  da  permettere  ad un certo numero di persone  di resistere  per qualche tempo, in attesa dei rinforzi. Le aperture per la luce e l’ aria  erano sempre molto strette.  Il tetto, di solito, era  praticabile ed era  circondato da parapetti o da merlature. Sono dei tipici donjon i torrioni dei castelli di S. Angelo dei Lombardi, di Rocca san Felice e di Montella; ricalca il modello del donjon la torre Febronia del monastero di  S. Guglielmo al Goleto.

In che periodo  fu edificato il campanile di Lioni?  Su questo punto non abbiamo notizie documentarie.  L’ analogia con i donjon normanni  suggerirebbe  di   collocare l’ epoca della costruzione  nel XII secolo. C’ è  però un elemento architettonico  che  impone  una datazione diversa, più recente. Si tratta delle feritoie.  Le feritoie della nostra torre campanaria  sono di un tipo particolare: sono più strette  di quelle delle fortificazioni normanno-sveve; hanno i bordi in pietra di taglio; presentano  nella parte  inferiore  un occhiello, sagomato in modo da permettere  all’ arciere o al balestriere  di battere anche le zone morte alla base dei muri.  Con lo stesso disegno e  la stessa tecnica sono realizzate  le  feritoie  che si vedono  nei  torrioni dei castelli  di  Melfi e di Lucera. Di  questi  si conosce  con precisione la data di costruzione. Il  castello di  Melfi  continua a portare il nome di Federico II, ma in realtà fu interamente rifatto tra il 1277 e il 1284  . Quanto alla   fortezza  di  Lucera, la  sua ristrutturazione, disposta  anch’essa da re  Carlo I d’ Angiò,   fu  ultimata  nel 1283.

Le feritoie del campanile lionese  sono  dunque quelle in uso nell’ architettura militare  angioina  nell’ ultimo trentennio del XIII secolo. Sulla base di questo dato possiamo ragionevolmente ritenere che esso  sia stato costruito  – insieme alla chiesa –  verso  la fine del Duecento  o, al più tardi,  agli  inizi del  Trecento:  praticamente nel periodo in cui il casale dei Leoni   vedeva  aumentare  la sua  consistenza demografica  per  via della fuga dei contadini  da  Oppido.

Un altro particolare importante del campanile è la scultura laterale, un’architrave probabilmente di una porta di una cappella. La zona aveva tante cappelle all’epoca, un po’ per voto, un po’ perché venivano utilizzate per seppellire i defunti, dato che i cimiteri non esistevano. La figura è un guerriero che uccide il drago e può essere, o l’Arcangelo Michele, o San Giorgio che ammazza il drago per liberare la principessa. Da ricordare che l’Angelo Michele era venerato dai Longobardi, mentre San Giorgio era il Santo dei Normanni. Probabilmente la tesi più accreditata è che è di epoca normanna

Durante i lavori di restauro fatti negli anni novanta  del secolo scorso, ai piedi del campanile e sotto il sagrato sono  stati trovati resti di sepolture. Di  «ossa rinvenute nello spiazzo esistente davanti la Chiesa Madre e il Campanile»  parla  anche lo storico locale Roccopietro Colantuono nella sua “ Storia di Lioni”.  A che epoca risalgano esattamente queste deposizioni è difficile dire. Esse comunque testimoniano della continuità di una pratica che ha avuto origine  sicuramente nel Medioevo. Infatti a partire  dal VII-VIII  secolo i  defunti, che  prima venivano  portati fuori dai centri abitati,  cominciarono  ad essere  inumati nelle  cripte delle  chiese o all’ esterno, a ridosso dei muri. I corpi venivano deposti in semplici fosse scavate nel terreno. Non sempre veniva impiegata una bara; in alternativa si usava rivestire  internamente  la fossa con sottili pareti  in muratura. I  personaggi importanti  però non seguivano  la sorte dei comuni mortali: le loro sepolture  erano  collocate  all’ interno della chiesa  oppure  in  cappelle a parte, fatte costruire da loro stessi.

La consuetudine di  usare come cimiteri  gli stessi luoghi di culto nasceva certamente  da  un  atto di fede:  essere  seppelliti  vicino alle reliquie dei santi, o  comunque  presso  l’ altare, corroborava la speranza della salvezza eterna. Ma la cosa aveva anche un fine pratico:  nei cimiteri  era proibita ogni  violenza, e  questo  creava  intorno alla chiesa  una  sorta  di   spazio protetto   che poteva tornare  utile  anche  ai vivi.

LA TORRICELLA

La Torricella è il muro di contenimento della cinta muraria. Nel corso degli anni è diventata uno dei simboli storici lionesi. E’ situata vicino al Municipio di Lioni e dall’alto della sua posizione sembra voglia difendere il paese. Insieme al Leone e al Campanile rappresentano Lioni nella sua interezza