La peste del ‘600 in Irpinia
Articolo a cura di Angelo Colantuono
La peste cominciò a diffondersi nel Regno di Napoli nell’aprile del 1656, e per due anni imperversò con particolare violenza nella capitale, in Irpinia, nel Salernitano e in Terra di Lavoro. Ecco come un testimone diretto della tragedia descrive i sintomi della malattia: «Si scuoprivano bubboni nell’anguinaglia, uscivano anche sotto le braccia … Nascevano per diversi luoghi della vita [= del corpo] alcune bolle infocate, tra nere e rosse, che tumescendosi si chiamavano carboni, li quali erano molto peggiori e meno sanabili de’ bubboni … Per lo più cominciava il male col vomito, con la febbre e con dolori di capo acutissimi, aggiuntavi una difficoltà grande di respirare e una sete ardentissima …»[1]. I medici, che non avevano alcuna idea dell’origine della malattia e comunque non avevano mezzi efficaci per curarla, somministravano sciroppi e unguenti, oppure intervenivano con manovre chirurgiche. La maggior parte delle persone contagiate moriva in meno di una settimana. La popolazione di Napoli venne dimezzata (vi furono 150mila vittime su circa 300mila abitanti).
In Irpinia furono colpiti il 90 per cento dei comuni. Si salvarono solo quelli dove le autorità locali furono pronte ad adottare l’unica misura veramente efficace: il divieto di relazioni con l’esterno. Ad Avellino città, su 10mila abitanti ne sopravvissero non più di 3.400 [2]. A Montella morirono 1924 persone su circa 3mila[3], a Guardia 1110 su 1475, a Vallata 1027 su 1678 [4]. Nusco, che aveva una popolazione più numerosa di quella di S. Angelo, ebbe 1200 vittime; a Bagnoli i morti furono oltre 1000 [5]. Rimasero invece indenni dal contagio gli 800 abitanti di Morra e i 1400 di Bisaccia. Nei paesi della diocesi di S. Angelo gli effetti della peste, come si ricava dalla citata relazione del vescovo Cianti, possono essere rappresentati così:
L’ evoluzione dell’epidemia a Lioni è stato raccontato da Roccopietro Colantuono sulla scorta delle informazioni contenute nell’ antico Libro dei Morti della Parrocchia. «Un tal Ferrante Ricca, “per essere venuto da Napoli appestato”, diffuse il contagio tra la gente. Dopo otto giorni dal suo ritorno, il 9 luglio 1656, “morì dentro Santa Maria del Piano …”. Il suo corpo … venne sepolto nel sacrato della Cappella. Il giono dopo morì la moglie del suddetto, in campagna, mentre “faceva la quarantena”. Il suo corpo venne bruciato perché non si trovò chi andasse a sotterrarlo …”. Il 12 del detto mese morì la figlia del Ricca: “il suo corpo si è sotterrato alla Vadetta …”.
I morti di peste, anche a Lioni, non vennero sepolti nelle fosse comuni delle chiese, ma nella campagna, “fuori le mura”. Su 151 persone decedute negli anni 1656 e 1657, sessantadue morirono “di peste”: tale dicitura è riportata l’ultima volta il 26 giugno 1657… Dei morti di peste 56 erano adulti e 6 giovani» [6]. S. Angelo e Lioni subirono un’altra pesante perdita di vite umane a causa del terremoto del 1694. A Lioni le vittime furono 45; a S. Angelo presumibilmente molte di più, anche se non si sa esattamente quante[7].
[1] michele giustiniani, Historia del contagio di Avellino, Roma 1662, rist. anast. Avellino 1997, pp. 209-10.
[2] f. barra , La peste del 1656, in Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, Vol. III, Avellino 1996, p. 335.
[3] f. scandone, L’Alta Valle del Calore, Vol. III, Napoli 1920, p. 121.
[4] Relazione del vescovo Cianti, in c. grassi, Contributi per la storia di Morra, cit.
[5] a. sanduzzi, Memorie storiche di Bagnoli Irpino, 1923, p. 390.
[6] r. colantuono, Storia di Lioni, cit., pp. 48-9.
[7] g. passaro, I terremoti in Irpinia, in «Civiltà Altirpina», a. VI (1981), fasc. speciale terremoto, pp. 18 – 19. I comuni più colpiti furono Guardia (280 morti), Calitri (311), Cairano (190), Conza (200), Teora (forse 300).